CBD e derivati, il Tar conferma la sospensione del decreto Schillaci
Dopo mesi di lotte e indiscrezioni tra il governo e il Tar, si è giunti a un epilogo – per noi – promettente. Il Tar ha ufficialmente confermato l’illegittimità del Decreto Schillaci, il quale inseriva il CBD e i suoi derivati, come l’olio di canapa, all’interno della lista delle sostanze stupefacenti considerate pesanti.
In questo articolo tenteremo di ripercorrere l’intero excursus che ha condotto il CBD ad essere sulla bocca di tutti e in bilico tra la legalità e non.
Sentenza del Tar: “il decreto manca di presupposti scientifici”
«Non appaiano configurarsi, allo stato di fatto, imminenti rischi per la tutela della salute pubblica». Questo quanto detto dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Tar), che oggi ha ufficialmente rimandato al prossimo 16 gennaio la rivalutazione del decreto Schillaci. Ciò è stato possibile a causa della mancanza di fonti tangibili e di presupposti scientifici in grado di validare il provvedimento preso dal governo Meloni.
Ma cosa avrebbe implicato il tanto dibattuto decreto Schillaci?
Lo scorso luglio, l’attuale tavolo di governo ha emanato un decreto legge che mirava a delegittimare il consumo massivo di CBD per destinarlo esclusivamente al circuito farmaceutico. Questo perché considerato troppo rischioso e visto come ponte per l’utilizzo di altre droghe.
Il provvedimento, che sarebbe dovuto entrare ufficialmente in vigore dal 22 settembre, avrebbe scoraggiato l’attività degli shop di cannabis light, escludendoli dal mercato per rendere la sostanza meno accessibile pubblicamente.
Nonostante il CBD non possa essere considerato un farmaco e sia totalmente privo di controindicazioni, il decreto Schillaci imponeva una prescrizione medica per l’acquisto.
Una decisione presa più per cosiddetto “partito preso” che per un vero e proprio rischio reale di salute pubblica, quella dell’attuale gruppo governativo. Ne avrebbero, infatti, giovato certamente figure come Salvini, che da tempo dibatte sulla questione, ponendo al centro della sua azione politica il divieto di CBD e la chiusura degli shop.
Questo evidentemente senza fonti scientifiche alla mano, che ne comprovassero l’effettiva legittimità di una tale presa di “imposizione”. E, soprattutto, ignorando un problema – veramente – sociale, quale il rischio di mandare in crisi un intero settore e le varie implicazioni economiche che avrebbe implicato.
Ma difatti si sa, se non è possibile dimostrarlo, una tesi è a monte confutabile. E come ha giustamente stabilito il Tar, non essendovi presupposti scientifici a sostegno di questa presunta illegalità, sono stati ritenuti sussistenti «i presupposti per la sospensione del provvedimento gravato».
Questo significa che gli shop e i rivenditori di CBD potranno continuare ad operare nel settore.
Legalizzazione della Canapa: dal Conte Bis al governo Meloni cosa è cambiato
Se oggi possiamo tirare un sospiro di sollievo è grazie anche ad istituzioni, come UE, Oms e gruppi politici schierati che hanno sin da subito scagliato il proprio malcontento sulle recenti decisioni intraprese dal governo attuale onde limitare consumo e compra-vendita di CBD.
Facendo un passo indietro nel tempo, fu l’ex ministro della salute Speranza a sospendere un decreto datato ottobre 2020. Lo stesso che inseriva il cbd tra le sostanze considerate “stupefacenti”, ossia nella lista delle cosiddette “droghe pesanti”. Sospeso nel successivo 28 ottobre, per via di proteste e malcontento generale.
È stato nel novembre stesso anno che l’Unione Europea ha sancito la legalità di tutti i prodotti a base di cannabidiolo (CBD). Con la clausola che nessun stato membro possa rendere illegale la sua commercializzazione (articoli 34 e 36 TFUE).
Sulla stessa scia si era già espressa, nel lontano 2017, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità il cui ECDD (Comitato di esperti sulla tossicodipendenza) aveva stabilito che il CBD, essendo una sostanza naturale, non rappresentasse un pericolo reale per la saluta pubblica, soprattutto per l’assenza di rischi legali alla dipendenza o a effetti nocivi a lungo termine.
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