Il 2 dicembre 2020, con 27 voti a favore (Italia inclusa) l’ONU ha rimosso la cannabis dalla tabella delle sostanze illegali. Nel dettaglio, è stata eliminata dalla Tabella IV, relativa alle “sostanze a rischio particolarmente forte di abuso e senza alcuna utilità terapeutica”, secondo la granitica convenzione del 1961 che classificava piante e derivati psicoattivi a seconda della loro pericolosità.
Una decisione storica
La 63esima sessione della Commission on Narcotic Drugs (CND) dell’ONU ha presso una decisione storica sulla pianta più usata, tra quelle considerate stupefacenti: ha ufficialmente riconosciuto il valore terapeutico della cannabis. Con una maggioranza non proprio larghissima (27 voti a favore, 25 contrari e 1 astenuto), la Commissione droghe delle Nazioni unite ha derubricato una sostanza presente nelle convenzioni, rompendo un tabù consolidato in anni di vero e proprio proibizionismo.
L’inizio di una nuova era
La decisione della CND è il primo cambio di rotta nel sistema internazionale del controllo delle sostanze stupefacenti. La massima autorità sanitaria mondiale, l’OMS, è riuscita a convincere quelle Nazioni, che hanno da sempre dichiarato guerra alla droga, che la cannabis non è la “pianta del demonio”, bensì una risorsa terapeutica sulla quale investire e fare ricerca. La prima conseguenza di questa nuova impostazione è che la cannabis non sarà più soggetta alle “misure speciali di controllo” previste per le sostanze presenti in Tabella IV e sarà quindi possibile per tutti i Paesi introdurre legislazioni per sostenerne la produzione a uso medico.
Un processo complicato
Il processo per arrivare a questa storica decisione è stato lungo e non privo di ostacoli: dalla presentazione ufficiale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rimandata di un mese, ai due rinvii alla CND che facevano presagire un tentativo di far saltare il voto. È rarissimo che il parere scientifico dell’OMS arrivi in aula per uno scrutinio e non approvato all’unanimità. Pesava la ferma opposizione di Russia e Cina, e di molti Paesi asiatici e africani. Nella conta finale è stato determinante il parere positivo dell’Unione Europea (Italia inclusa, ma con defezione dell’Ungheria) che ha votato a favore di 4 delle 6 raccomandazioni.
Nel Nord America la cannabis legale è diventata abitudine, in Europa solo il Lussemburgo sta andando in quella direzione. Il 19 novembre la Corte europea di giustizia dell’Ue ha detto che il CBD, non è da considerarsi sostanza stupefacente. Non avendo effetti psicoattivi non va considerato come il THC e può essere vendibile all’interno della UE se uno Stato ne approva la produzione e vendita.
Lo scorso 29 ottobre il ministero della Salute ha approvato il decreto che esclude il Cbd nella tabella degli stupefacenti. I negozi di cannabis hanno rischiato parecchio nel 2019, quando il ministro dell’Interno voleva chiuderli impedendo la vendita di prodotti derivanti dalla canapa. Questo ha generato parecchi clamori e diversi giudici si sono mossi: la cannabis light non è droga e la legge ne consente la vendita.
Cade un tabù, vince la società civile
A Vienna cade un tabù ed è una vittoria delle associazioni della società civile, che a livello nazionale, europeo e globale hanno lavorato per questa svolta. Già nel maggio 2018, queste stesse associazioni avevano depositato all’OMS una memoria sull’esperienza allora decennale della cannabis terapeutica in Italia, mentre in questa sessione hanno presentato un documento firmato da un centinaio di ONG internazionali, a sostegno dell’approvazione delle raccomandazioni. Ora la politica italiana non ha più scusanti per non completare il quadro normativo e, allo stesso tempo, ampliare la produzione italiana di cannabis terapeutica.